Io ti chiedo un parere, tu me lo dai. È negativo. Ti sputtano. Ti ho chiesto come la pensi ma mica facevo sul serio.
Finché il ban per le critiche rimaneva chiuso nel gruppo delle “pancine” (diventato celebre grazie al Signor Distruggere), nessuno si faceva male per davvero.
È che poi quel NO KRITIKE SOLO KOMPLIMENTI è diventata una pratica fin troppo comune, tanto da rifiutare ogni opinione contrastante da parte del nostro interlocutore, pure se gli avevamo chiesto noi di dire la sua.
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Questo è forse il paradosso più grande dei social network. Prima rivoluzionano completamente il modo di comunicare: dialogo, relazione, interazione. Poi gli influencer…
Ecco, gli influencer.
Figure imprescindibili dell’internet in grado di far girare l’economia quasi quanto un “whatever it takes” di Mario Draghi.
No, non è come pensi, aspetta.
Non è un caso che si siano palesate improvvisamente delle persone a spiegarci la vita. Gli abbiamo chiesto noi di farlo. Anzi, glielo abbiamo chiesto in tantissimi. Il loro merito è stato quello di buttarsi, esporsi, raccontare, condizionare, influenzare, vendere.
Il punto è che quando la vita privata si mescola al lavoro e l’intrattenimento all’informazione, succede che anziché convincerci di comprare una t-shirt ci convinciamo che la terra è piatta. O che le monetine rimangono attaccate al braccio di chi si vaccina.
Questo perché l’internet ci rende pigri: è più comodo non cambiare “canale” ed ascoltare tutto così come viene.
Ma se ci fidiamo di chi in settimana ci consiglia dove andare a cena e nel week-end si improvvisa virologo, la colpa è anche un po’ nostra, no?
La libertà, specialmente di pensiero, implica delle scelte. E scegliere chi ascoltare è forse una delle più coraggiose.
L’altra è riuscire a stare attenti per più di 1,7secondi (lo spiego meglio in questo post).
Sì, abbiamo la pretesa di capire come va il mondo in meno di due secondi. Lasso di tempo in cui vogliamo: recepire una notizia e ricondividerla sui social, avere un’opinione a riguardo, osannare i giusti (secondo noi) e condannare chiunque la pensi diversamente (da noi).
Tra l’altro, ormai consideriamo “normale” sentire qualcuno che ci chiede un parere e, se glielo diamo per davvero, ci dice che non siamo graditi né obbligati a dire la nostra. E quindi ci viene più comodo sposare le opinioni già pronte e confezionate da altri. Zero sforzi, zero rischio di essere travolti da una shitstorm.
No, non sto giustificando il comportamento degli hater che danno giudizi negativi a prescindere perché gli va.
Dico che è veramente difficile trovare qualcuno che ci richieda sinceramente lo sforzo di elaborare un pensiero.
Persino i giornali hanno smesso di dare notizie e basta. Ogni titolo racchiude già in sé un’opinione, nemmeno troppo celata. E non parlo solo dei quotidiani da cui storicamente ci si aspetta che lo facciano (vedi Libero) ma da chiunque. Per non parlare poi di quanto sia complicato riuscire a reperire informazioni validate, notizie ufficiali e non solo trapelate chissà come, chissà dove.
L’immediatezza con cui vogliamo fare e capire tutto, non lascia spazio nemmeno alla remota possibilità di avere dei dubbi.
E credo stia qui il problema di “seguire” qualcuno senza cognizione di causa. Fatichi a prescindere il pensiero dai vestiti, cosa mangia a colazione da cosa si spalma in faccia. Fai fatica a distaccartene perché lo/a vedi a pranzo e pure a cena. Più di tua madre e dei tuoi amici.
E così come ci condizionano i pensieri di chi ci sta intorno fin dalla nascita, lo fanno inevitabilmente anche le persone che guardiamo e ascoltiamo sui social.
Quando è stata l’ultima volta che ti sei chiesta/o: ma sarà andata davvero così? Quante volte hai ascoltato più di tre campane prima di pronunciare un “secondo me”?
L’assenza di tempo non può essere una scusante per essere approssimativi. Proviamo a verificare ciò che ascoltiamo, non subiamolo soltanto.
Chiediamo le fonti, prendiamoci tempo, rileggiamo se non abbiamo capito, chiediamoci se quella battuta è solo di cattivo gusto o una citazione di un libro che non abbiamo letto.